Milioni di immigrati vivono nel territorio dell'Unione Europea, e la loro presenza è certamente destinata ad aumentare; non solo perché non sembrano in alcun modo mutare i fattori tradizionalmente legati all'emigrazione (povertà e guerre, situazioni di obbiettiva indigenza o di insicurezza per il proprio futuro), ma anche perché in un mondo che si fa sempre più globale le distanze si accorciano e le persone si muovono in uno spazio dal quale i confini tendono a scomparire o a perdere progressivamente significato.
Non resta allora che affrontare seriamente la realtà dell'immigrazione, abbandonando ogni residua illusione di poter fronteggiare questo fenomeno come un'emergenza, preoccupante magari, ma destinata ad arrestarsi o a regredire. E per farlo, tra l'altro, si deve comprendere che oltre a gestire il flusso migratorio, ovvero a determinare le condizioni e i limiti per l'accoglienza dei migranti, è necessario disciplinare quella della società multiculturale che dell'immigrazione è il corollario più evidente.
La sfida primaria, allora, è quella di progettare efficaci architetture istituzionali che aprano la strada all'integrazione e al confronto, abbandonando un'impostazione in cui l'altro è accolto solo come forza-lavoro, in un rapporto esclusivamente procedurale e burocratico: prendendo sul serio il problema della diversità culturale e aprendosi davvero all'accoglienza.