Le pagine di questo volume si snodano tra Bibbia e letteratura, tra pensiero ebraico e percorsi poco frequentati di storia contemporanea, tra paradossi e smascheramenti, per una serie di riflessioni dissonanti, legate ad alcune parole chiave e dal sapore attuale: peccato, materialità, corporeità, genocidio e poche altre ancora. Sollecitato dal pressante pungolo del presente, eppur sempre legato al passato, l’autore si prefigge di entrare in alcuni “luoghi” del pensiero, sia per riappropriarsene sia per assumerne le difficoltà. Disagio, inadeguatezza, fragilità e fallibilità segnano la sensibilità contemporanea. Tuttavia, forza e intraprendenza, verità e dignità non sono per questo avvolte da impenetrabile caligine, ma invitano a una ricerca che possegga la tecnica e la tenacia del rabdomante. Le riflessioni che si incontrano, talora provocatorie talora venate di esistenzialismo, si nutrono sia di Oriente sia di Occidente, anche a fronte della biografia familiare dell’Autore. Non è quindi casuale che vi possano essere strappi, aporie o silenzi. Emerge un fil rouge costante che diviene quasi preghiera: mai negare il reale, mai dimenticare che la nostra vita è estremamente concreta e che noi necessitiamo di fisicità e concretezza. Si può, in un certo senso, dire che il peccato più grave del nostro tempo è costituito dalla crisi del senso del peccato, il non attuarsi cioè nella coscienza della percezione della sua gravità, o addirittura dalla sua totale vanificazione.